
- Purgatorio
- Inferno
- Paradiso
di P. R. Bardelli
IL PURGATORIO
Nel confronto diretto tra l'anima ed il Cristo glorioso, che avviene subito dopo la morte, essa percepisce immediatamente se la sua vita è in piena armonia con le esigenze dell'amore del Cristo, o se esistono delle disarmonie che ne impediscano l'abbraccio eterno.
Nella luce di questo giudizio particolare l'uomo percepisce se la sua unione con Cristo è pura, o inquinata e appesantita da elementi negativi, nati dal suo peccato, o addirittura se è incrinata da azioni negative, piccoli peccati, ancora presenti al momento della sua morte. L'anima umana è illuminata dallo splendore d'amore che promana dall'umanità gloriosa del Cristo fin dalle fibre più intime. Nulla sfugge a questa luce. Se l'anima scorge in sè stessa anche la più piccola impurità, cioè una sfumatura che incrina la purezza del suo amore verso Cristo, essa sente di non potersi unire all'amplesso d'amore con lo sposo in modo totale, per cui ardentemente desidera uno stato di purificazione e di riparazione, che progressivamente la liberi dai resti dei suoi peccati, o dai peccati veniali non ancora rimessi, perdonati e purificati dal sangue di Cristo. Solo così purificata, l'anima sarà unita perfettamente al Cristo e potrà entrare a contemplare e godere direttamente "faccia a faccia" con Lui ed in Lui il Dio vivente.
L'anima stessa scorgendo questo stato di purificazione s'immerge in esso, per togliere da sè tutto quanto la giustizia divina ha mostrato in lei d'imperfetto ed ingiusto, attraverso la luce sfolgorante del Cristo.
Questo stato di purificazione è quello che noi chiamiamo Purgatorio. Chi entra in questo stato di espiazione e di purificazione, continua ad essere membro vivo della Chiesa, cioè parte vivente, anche se in via di purificazione, del corpo mistico di Cristo. In esso continua ad operare e ad essere presente lo Spirito Santo, principio di unità, medicina che rinnova e fa crescere la vita divina nel cuore dei discepoli di Cristo. Anche in questo stato di purificazione, lo Spirito di Dio continua la sua opera di purificazione, per fare risplendere maggiormente la vita divina che il suo amore ha posto e sviluppato nell'anima durante il cammino terreno.
Chi vive in questo stato di attesa e di purificazione, conserva il grado d'amore che ha acquisito sulla terra, l'amicizia con Dio e l'unione col Cristo: conserva quindi la piena comunione con tutta la Chiesa, coi fratelli che sono sulla terra e quelli che sono in cielo e godono già della visione beatifica di Dio. Essi continuano a partecipare alla lode, al ringraziamento, all'implorazione che sale da tutta la Chiesa, in Cristo, verso la Trinità. Sono privati di una sola cosa: la visione beatifica di Dio. Infatti "L'unione dei viatori coi fratelli morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata anzi, secondo la perenne fede della Chiesa è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali"(1). Ne deriva che questi nostri fratelli che vivono in questo stato di purificazione continuano la loro Vita in Cristo, ma in uno stato di sofferenza purificatoria. Occorre notare: questa sofferenza è ardentemente desiderata, essendo il mezzo che la misericordia di Dio ha loro elargito per potersi purificare definitivamente dal peccato, che impedisce loro di potere accedere alla visione diretta di Dio.
Il purgatorio è caratterizzato infatti da un grande dolore, proporzionato alla necessità di purificazione, e da una gioia grandissima, perchè l'individuo ha in sè la certezza di arrivare alla visione beatifica di Dio. Questa sofferenza ha lo scopo di portare a compimento la: purificazione e l'espiazione dei peccati non compiuta durante il cammino terreno, o perchè l'anima non ha fatto una penitenza adeguata dei peccati commessi e perdonati, o perchè al momento della morte essa non era del tutto libera.da attaccamenti disordinati: affetti, peccati veniali, od altre imperfezioni.
Questa purificazione ed espiazione avviene attraverso sofferenze sulla natura delle quali noi conosciamo ben poco. Sappiamo che parte di questa sofferenza è costituita dalla privazione della visione "Faccia a faccia" di Dio, cioé dal non potere contemplare in Cristo lo splendore del volto di Dio. Essi lo hanno contemplato nel momento del giudizio particolare e poi immediatamente si sono trovati in questo luogo di purificazione, in cui lo possono intravedere confusamente in proporzione della capacità d'amore imperfetta presente in loro. Sono soggetti ad una miopia causata dal loro essere peccatori, non ancora purificati. I resti di peccato presenti in loro, infatti, impediscono ed offuscano la loro capacità contemplativa di Dio e di Cristo. Inoltre il loro essere peccatori impedisce anche la pienezza di unione con Cristo, che desiderano ardentemente con tutto loro stessi.
Queste privazioni determinano nell'anima che si trova in questo stato di purificazione, una sofferenza inaudita, che la purifica progressivamente, avvicinandola sempre più alla meta definitiva. Questa privazione della piena unione con Cristo, impedita dal peccato presente in loro, possiamo ritenerla la sofferenza della pena del senso. Infatti si sentono spinti con tutta la passione dell'anima verso la fusione col Cristo, e ne sono impediti dai resti del peccato. Ciò strazia tutto il loro essere. La sofferenza del danno è costituita dalla privazione della visione beatifica dello splendore del Cristo risorto e della Trinità. Col progredire della purificazione l'anima si sente maggiormente unita a Cristo ed in lui con la Trinità.
Il purgatorio termina quando l'anima è arrivata al massimo splendore di purificazione del grado d'amore che ha acquisito sulla terra. Si deve notare, infatti, che la sofferenza del purgatorio non accresce l'amore nell'anima, ma lo purifica dalle scorie del peccato, per portarlo a quella purezza che l'ammette all'unione totale con Cristo e alla contemplazione della sua gloria e di quella della Trinità. Questo progressivo avvicinamento alla meta è causa di gioia, mentre il permanere dell'impedimento dei resti del peccato che frenano il cammino verso la meta è causa di indicibile dolore. Ecco perchè, come abbiamo notato, il purgatorio è uno stato di vita caratterizzato da un'indicibile sofferenza, mista ad una gioia grandissima. I testi del Concilio parlano di una sofferenza purificatrice in senso passivo "purificantur", cioè di una purificazione accettata e ricevuta, desiderata ed amata ("La remissione dei peccati sempre desiderata come dice la liturgia dei defunti") per arrivare alla meta del Paradiso.
Occorre notare: questa purificazione, espiazione e riparazione del purgatorio è attuata nella comunione con tutta la Chiesa. I fratelli defunti compiono il loro destino non in modo solitario, ma nel popolo di Dio, in unione con Cristo capo e con tutte le membra. Sono aiutati dalle preghiere, dai suffragi, dalle opere buone della Chiesa peregrinante sulla terra, e sono "rinsaldati nella santità" dai beati del cie1o .(2)
"La Chiesa dei viatori riconoscendo benissimo la comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, fin dai primi tempi della religione cristiana coltivò con grande pietà la memoria dei defunti ( cfr. molte iscrizioni nelle catacombe romane ce lo attestano ) e "poichè santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perchè siano assolti nei peccati"( 2Mac. 12,46 ) ha offerto per loro anche suffragio (3) ". La salvezza è una realtà ecclesiale: si attua nella Chiesa, cioè in Cristo e con Cristo che è capo della chiesa e fonte della sua santità. I fedeli defunti non pongono più alcun ostacolo a questa inondazione di salvezza e vogliono integralmente essere salvati in Cristo.
I suffragi che la chiesa peregrina qui sulla terra offre a Dio per loro costituiscono un atto di carità ecclesiale, avvicinano maggiormente a Cristo, consolidano nella carità coloro che li compiono, ed allo stesso tempo purificano i nostri fratelli del purgatorio. Noi che siamo sulla terra possiamo accelerare il loro cammino verso il Paradiso con le nostre opere buone.
Tutto questo è basato sulla comunione del bene che può avvenire tra i vari membri del corpo mistico di Cristo. Le anime del purgatorio a loro volta possono pregare per noi, intercede presso Dio per noi, come i santi dal cielo. Il Concilio Vaticano Il descrive in questo modo l'intercessione per noi dei santi del cieli: "Ammessi nella patria celeste e presenti davanti al Signore, per mezzo di Lui, e con Lui ed in Lui non cessano d'intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati in terra mediante il Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini, servendo al Signore in ogni cosa e dando compimento nella loro carne, a ciò che manca alle sofferenze di Cristo per il suo corpo che è la Chiesa. La nostra debolezza è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine. (4) I nostri fratelli che si trovano in questa purificazione possono fare la stessa cosa, anche se in modo diverso: non possiedono la visione benefica di Dio, ma possono sempre, con Cristo, in Cristo e per Cristo, offrire a Dio i meriti che hanno acquistato in terra per il bene dei fratelli che pregano per loro o ad essi ricorrono. E attraverso questa comunione d'amore che lega il cielo con la terra ed il purgatorio con gli uomini in cammino verso la salvezza, che forma quell'intima comunione tra i vari membri del corpo mistico di Cristo, che restano uniti e uno fra loro e con Cristo anche dopo la morte.
Tale unione è mantenuta dallo Spirito di Dio,"anima di questo corpo di Cristo". Il purgatorio è un dono della misericordia di Dio per coloro che non sono ancora pronti ad entrare in contatto ed in piena comunione con Cristo ed in Lui con Dio. Come abbiamo visto, è uno stato di vita di purificazione e di riparazione dei nostri peccati, non espiati sufficientemente su questa terra. Chi non vuole andare in purgatorio deve anticipare attraverso la carità, la penitenza, l'elemosina, la preghiera ecc .... questa purificazione. Sopportando con amore e pazienza i dolori e le sofferenze della vita presente, vivendoli uniti a Cristo, per completare nelle proprie membra quello che manca alla sofferenza di Cristo per il suo corpo che è la Chiesa (Col. 1,24).
Viviamo sempre più intensamente i comandamenti di Dio e le beatitudini evangeliche,ed allora il nostro cuore sarà pronto nel giorno della morte di entrare nella gloria di Dio. Certo occorre riscoprire in modo più intenso nella nostra vita il "senso di Dio", cioè capire col cuore chi è Dio, la sua santità ed il suo infinito e purissimo amore, per comprendere il male immenso che immette in noi anche il più piccolo peccato. I Santi che avevano compreso questo erano arrivati a dire con tutto loro stessi: piuttosto che commettere un peccato mortale preferisco la morte ... e molti fra di loro lo dicevano anche del peccato veniale volontario, cioè pienamente cosciente.
L'INFERNO
L'inferno è lo stato di vita dopo la morte, di coloro che, durante la loro esistenza terrena, hanno rifiutato di vivere nell'amicizia con Dio e sono morti senza ritornare nella comunione d'amore con Lui. Hanno rifiutato di costruire la loro vita nella luce e nell'amore della redenzione di Cristo. Il loro progetto di vita si è svolto volontariamente e coscientemente in opposizione al Vangelo, in parte o totalmente.
Cristo ha spesso sottolineato: chi vuole vivere in comunione con Lui deve osservare tutti i comandamenti. "Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti "(Mt. 19,17), perchè da questo comprendi di averlo conosciuto ed amato". Se dici: "Lo conosco" e non osservi i suoi comandamenti, sei un bugiardo e la verità non è in te, ma se osservi la sua Parola, in te l'amore di Dio è veramente perfetto (1 Gv. 2,3). "Da questo conosciamo di amare i figli di Dio, se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti, perchè in questo consiste l'amore di Dio: nell'osservare i suoi comandamenti, e i suoi comandamenti non sono gravosi (1 Gv. 5,2-3).
Gesù ha sottolineato tante volte nella sua predicazione che coloro che muoiono nel rifiuto di Dio, si privano per sempre della comunione con Lui e di poterlo godere e contemplare "Faccia a faccia"(1 Cor. 13,12). Gesù presenta questo mistero di iniquità e di morte "come un fuoco eterno"(Mt. 25,41) inestinguibile (Mt 3,12), in cui l'uomo peccatore è privato definitivamente della comunione di vita con Dio, "separati dai giusti nella sentenza finale e cacciati dal banchetto eterno con Dio (Mt. 25,41; 22,13; 25,30). L'inferno è uno stato di estremo ed eterno dolore, una vita tra pianti e stridore di denti (Mt. 8,12) e "tormenti" inauditi (Lc. 16,23-25), vissuto con Satana ed i suoi angeli (Mt. 25,41). E' uno stato di vita alimentato dall'odio contro Dio, che impedisce al peccatore di ancora peccare. Il peccato infatti per il dannato è vita: la sua somma aspirazione. La dannazione eterna é il risultato finale di una vita vissuta nel peccato, amato, e quindi mai riparato.
Specialmente alcuni peccati dispongono l'uomo a questa durezza di cuore: i peccati contro la carità fraterna "chi dice al fratello traditore o rinnegato (con una sfumatura di empietà religiosa)" può essere condannato al fuoco dell'inferno" (Mt. 5,22); la non comprensione verso la sofferenza altrui (Mt. 25,41-46); l'abbandonarsi alla lussuria, impurità, libertinaggio, ubriachezze, orge e cose del genere... impedisce l' eredità del regno di Dio(Gal 5,19). "Non illudetevi: nè immorali, nè idolatri, ne adulteri, nè effeminati, nè sodomiti, nè ubriaconi, nè maldicenti,erediteranno il regno di Dio"(1 Cor. 6,9-10). "Perchè sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro, avrà parte al regno di Cristo e di Dio"(Ef. 5,5). Sono i peccati che deturpano il cuore ed il corpo dell'uomo immergendolo nell'egoismo. Solo chi sa amare, può capire l'importanza di Dio nella sua vita (1 Gv. 4,16) e ritrovare la forza di abbandonare il peccato. Il ricordo di Dio fa divampare nel cuore del dannato un odio più grande determinando in esso una sofferenza atroce che brucia l'anima immortale dell'uomo. Sofferenza che in ultima analisi è causata dalla privazione del gaudio eterno di Dio, del "Faccia a faccia con Lui ".
Come avviene la condanna all'inferno?
Dopo la morte l'uomo peccatore si trova dinnanzi al Cristo glorioso. Lo splendore della sua gloria lo penetra e lo illumina. Egli però con tutto il suo essere vuole restare nel proprio peccato. Si allontana da Cristo e spontaneamente va nello stato di vita in cui Dio é rifiutato. L'amore al peccato pronuncia la sua condanna e produce la sua dannazione. Il magistero perenne della Chiesa ha colto nel dato della rivelazione alcune verità fondamentali,inconfutabili, cioè di fede:
1) L'inferno esiste, ed è eterno, cioè senza fine.
2) I dannati soffrono della privazione, per sempre, della visione gloriosa di Dio.
3) Gli uomini vanno all'inferno ("dirà a quelli che sono alla sua sinistra: via lontano da me, o maledetti, nel fuoco eterno ... e se ne andranno, questi al supplizio eterno" Mt. 25,41; 46). Nessun uomo però conosce con certezza le persone che muoiono in questo rifiuto di Dio. Ciò si potrà conoscere solo nella luce eterna di Dio.
4) E' uno stato di vita caratterizzato da una sofferenza atroce e senza fine.
Come sono le pene dell'inferno ?
Secondo la scrittura la sofferenza totale dell'inferno è costituita da due realtà diverse, che accumulandosi, formano e determinano lo stato di dolore dei dannati.
Queste sono: la pena del senso e la pena del danno.
La pena del senso.
L'uomo dannato, come già abbiamo notato, è radicato nel suo peccato. li peccato è l'oggetto del suo desiderio. E' il sommo bene per la sua persona. E il Dio della sua esistenza. Tutta la sua volontà lo vuole e lo desidera. Ma lo stato di vita in cui si viene a trovare nell'inferno, anche se lontano da Dio, gl'impongono di vivere forzatamente senza il peccato. Deve vivere l'ordine della natura, non può abusare nè di sè stesso ne delle creature, nè del creato come strumento di peccato. Il peccatore brucia dal desiderio del peccato, ma non può consumarlo, ne é impedito dallo stato di vita di dannazione eterna. La passione che brucia il cuore del dannato non può avere il cibo che cerca... E' una sofferenza atroce, paragonabile a quella del drogato in crisi d'astinenza, il quale, se non può avere la "roba" impazzisce ... è pronto a tutto per averla... Ecco perchè l'inferno è un luogo di bestemmia contro Dio, che non concede alla passione, abituata al peccato, l'oggetto del suo piacere e di soddisfare il suo bisogno. Questo tormento è il fuoco dell'inferno! Come si vede è una pena intrinseca al peccato, non una pena comunicata da Dio. Le pene dell'inferno nella loro totalità nascono e sono prodotte dal peccato dell'uomo. Non sono pene create da Dio, per punire l'uomo peccatore. L'uomo peccatore costruisce il suo inferno qui sulla terra. Come il giusto costruisce, mano nella mano con Dio, il suo, paradiso. Le pene di Dio, cioè quelle che egli personalmente addossa all'uomo, sono sempre medicinali, cioè dirette alla salvezza, mai al tormento eterno. Il peccato dell'uomo crea queste pene, questi tormenti, che diventano eterni, quando l'uomo peccatore entra nell'eterno, cioè quando termina il suo cammino terreno.
Questo stato di dannazione non è stato creato direttamente da Dio, ma è stato determinato prima dal peccato degli angeli, e poi da quelli dell'uomo. Dio rispetta la libertà di scelta delle sue creature, pur nella "sofferenza del suo cuore di Padre". Dio aveva fatto l'uomo per la vita, non per il peccato. Il peccatore morendo ha scelto il peccato. Dio rispetta questa sua scelta definitiva... per sempre... eternamente! L'inferno mette in evidenza e fa risaltare il rispetto che Dio ha verso le libere scelte dell'uomo. Da queste infatti nasce l'amore, come può nascere il peccato. Dio rispetta entrambe le scelte, anche se ardentemente desidera che l'uomo lo ami con tutto il cuore e da parte sua cerca di attirarlo verso di sé, di sedurlo, mai però lo violenta! Finisce, all'inferno chi caparbiamente lo vuole e resiste alla seduzione amorosa di Dio.
La pena del danno.
E' la privazione eterna di vedere Dio "faccia a faccia" quindi di non potere mai più godere la gioia che da questa visione promana. Il dannato ha intravisto subito dopo la morte, nell'incontro col Cristo glorioso (pensiamo a Pietro sul Tabor.Mt17,1-8),il gaudio di tale visione e liberamente ha scelto di esserne privato per sempre. In lui é maturata infatti in modo totalizzante l'esperienza del peccato, per cui continua ad amarla anche in quel momento definitivo. Il peccato é diventato per lui un vizio, per cui ha preso completamente il suo cuore, cristallizzandolo per sempre nell'opposizione a Dio, in modo irrevocabile. Il peccatore, nel momento della morte, è paragonabile ad una mamma che travolta dalla passione verso un altro uomo, abbandona il marito ed i figli per seguire l'amante.Questo amore passionale la porta a tradire i sentimenti più profondi. Anzi vivendo accanto all'amate, il solo ricordo del "calore del primo focolare" suscita in lei avversione e odio verso di esso, perchè tale pensiero viene a turbare la gioia del suo tradimento e della sua passione. Così il dannato, ha percepito chiaramente nel momento della morte "la gioia di coloro che sono con Dio per sempre" ma nello stesso momento ha intuito che era riservata per coloro che abbandonavano il peccato. Egli amava il peccato, per cui ha rifiutato Dio e la sua gioia, che tentavano di togliergli il "suo bene": il peccato e liberamente è andato dove regna il peccato, anche se c'è sofferenza. Ha preferito il"suo bene"al bene che e' Dio. Nella sofferenza dell'inferno il peccatore odia Dio, perchè gli impedisce il godimento delle passioni e vedendo i giusti "nella gioia", il suo cuore è maggiormente roso dall'ira e dall'odio contro di Lui, ritenuto il più grande ostacolo alla sua gioia. Il dannato vuole con tutto se stesso la gioia-godimento del peccato. E' una esigenza radicata in lui dal vizio. L'uomo possiede in sè l'esigenza della gioia, Dio stesso l'ha creato per essa. Dio però non ha creato nessuna realtà capace di mortificare o corrompere questa aspirazione profondo del cuore umano. Egli infatti non ha creato la malattia, la morte e l'inferno: esse sono un frutto nato dal peccato(cfr. sap. 1, 12-16) L'uomo con il suo peccato ha deturpato questo desiderio di gioia, indirizzandolo verso le sorgenti inquinate del peccato, costruendo cosi con le sue stesse mani la causa della sua infelicità eterna. L'inferno e la qualità delle sue pene sono opera del peccato. L'eternità di queste non é voluta direttamente da Dio, ma é una conseguenza naturale della scelta definitiva fatta dal peccatore nel momento della sua morte.
Con questa infatti l'uomo entra nell'eterno, per cui le scelte operate in quel momento restano per sempre, per l'eternità. Solo nel tempo l'uomo può mutare le sue decisioni. Nella vita dopo la morte comincia un eterno presente in cui non é più possibile mutare le proprie scelte. Il peccatore é entrato in questa vita con una libera scelta di peccato, per cui il suo peccato assume la caratteristica di eternità. L'eternità dei peccato é la ragione dell' eternità dell'inferno.(5)
Le pene dell'inferno sono il risultato di un ordine stabilito da Dio nella creazione, ma le pene sono unicamente permesse, come è permesso il peccato, di cui esse sono la conseguenza ineluttabile. Questa concezione della pena, come intrinseca al peccato, rispetta la realtà di Dio. Egli è un Padre amoroso, che non vuole direttamente la sofferenza dei suoi figli, quando questa non é a loro vantaggio, ma semplicemente la permette e la tollera per rispetto alla loro libertà. Questa visione dell'inferno derivante dalla Scrittura, elimina l'odiosità di un Dio vendicatore e favorisce il passaggio da una religione della legge fondata sulla paura, ad una religione che s'impernia sull'amore filiale. (cf. Rom. 8,15;1 Gv. 4,17s.) L'inferno evidenzia ed esprime la realtà più alta della rivelazione sull'amore misericordioso di Dio.
Egli ama per sempre il peccatore, ma rispetta la sua libera scelta di dannazione, per cui non può eternamente cambiarla.(6) E' meglio vivere ora la pena del senso, cioè la privazione del peccato, ricercato e desiderato dalle nostre passioni, assetate di piacere, che viverla eternamente nell'inferno. Ora è una sofferenza che redime e salva. Allora porterà una sofferenza e una disperazione eterna.
E' salutare rivolgere spesso il nostro pensiero a questa possibilità di rovina insita nel peccato. Non per vivere in stato d'angoscia, che uccide l'amore(1 Gv. 4,18), ma per animarci a vivere sempre più intensamente nell'amore salvifico di Cristo. Ciò aiuta anche a sopportare pazientemente, senza accondiscendervi le esigenze dell'uomo vecchio, cioé dell'uomo carnale, che vuole imporci le vie del peccato, contrapponendosi alle esigenze dell'uomo nuovo nato dall'acqua e dallo Spirito Santo, cioè dal Battesimo.
Nel suo messaggio evangelico Cristo ci pone sovente dinnanzi questa realtà del "fuoco eterno", perchè superiamo la nostra pigrizia, ed abbracciamo più intensamente il suo amore. Egli agisce come un medico amoroso che ci pone dinnanzi alle conseguenze delle nostre intemperanze, per solleticarci ad essere temperanti e forti nella fede. Anche il timore ha una sua funzione educativa, quando la tenerezza dell'amore ha perso ogni efficacia sul cuore umano. Per questo molti canteranno in eterno: "Beato timore che ci ha impedito di rovinare la nostra vita per sempre". Dove non arriva l'amore , almeno arrivi il timore delle conseguenze eterne del peccato.
IL PARADISO
L'uomo creato ad "immagine e somiglianza di Dio"(Gen. 1,27) porta iscritto nel suo cuore il richiamo, la nostalgia di ricongiungersi alla sorgente della sua vita: Dio. Ciò si specifica sovente attraverso una insoddisfazione delle cose presenti, e nelle aspirazioni verso una pienezza d'amore che nessuna creatura mai potrà elargire. Il desiderio di "vivere con Dio" è un' aspirazione primordiale del cuore umano. Allo stato naturale è ancora informe ed indefinita, acquista forma e senso preciso nell'incontro con Cristo. Il Vangelo "del Regno" apre infatti il cuore dell'uomo verso dimensioni nuove, aiutandolo per una comprensione più intima e profonda di Dio.
Cristo inoltre attraverso " l'acqua e lo Spirito Santo" (Gv. 3,5), lo unisce a sé "come la vite ai tralci" (Gv. 15). Questo inserimento in Cristo comunica all'uomo un desiderio ardente di essere completamente di Dio, come Cristo lo era durante la sua vita terrena. L'uomo vivendo la sua vita nascosta con Cristo in Dio (col. 3,3), scopre esperienzialmente che é fatto per le nozze eterne con Dio, cioè per contemplarlo nell'amore "faccia a faccia"(1 cor. 13,12), come l'amata l'amato.
Lo Spirito Santo infatti unendo l'uomo profondamente ed intimamente al cuore di Cristo trasmette ad esso la nostalgia di vivere la gioia ed il gaudio che allietano questo cuore, che ora vive nella visione gaudiosa di Dio. S.Paolo "vivendo totalmente nel Cristo"(Gal. 2,20) arde dal desiderio di separarsi dal corpo per essere pienamente col Cristo glorioso (Fil. 1,23). Questa aspirazione in lui è talmente intensa che vive nell'ansia di abbreviare le tappe, rivestendo, se fosse possibile, la gloria dei cielo, senza spogliarsi della tenda del corpo (2 Cor. 5,4). Egli vive in sé "il gemito del proprio corpo" che attende con impazienza la gloria della risurrezione (Rom. 8,18-23).
Tutto ciò fa' comprendere profondamente al cuore di Paolo che la terra è un luogo d'esilio e il desiderio del cielo lo rende quasi incapace di acclimatarsi alla città terrena, per cui ha sempre più vivo in sè il desiderio del cielo "La nostra patria è nei cieli, e di là aspettiamo come salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere tutte le cose" (Fil.3,20-2 1). S.Paolo percepisce che questo suo desiderio "di vita eterna" è in sintonia con il "gemito di tutta la creazione" che attende anch'essa questo momento della glorificazione dei figli di Dio, per essere liberata dalla schiavitù del peccato (Rorn. 19-22). Lo spirito Santo che ci è dato nel battesimo attesta e mantiene viva anche in noi questa speranza della vita eterna (Rom. 8,16). Questo ardente desiderio del cielo ha vivificato e tormentato il cuore di tutti i santi: S.Francesco D'Assisi, S.Agostino, S.Teresina dei Bambino Gesù ecc., e dovrebbe essere l'aspirazione più profonda dei cuore del discepolo del Signore. Questo aspirazione "del cielo" è mantenuta viva, in modo più accentuato, fra il popolo di Dio, da coloro che sono stati scelti da Dio per vivere la "verginità per il regno dei cieli"(cf.Mt. 19,10-12). Essi infatti, anticipano sulla terra, con il loro amore verginale, la comunione d'amore con Dio diretta e di cuore indiviso(cf.i Cor.7,32-34) propria del Cielo. ,
Il consacrato ora vive tutto ciò nella fede e nella speranza, dopo la morte, lo vivrà "Faccia a faccia." Il Paradiso infatti nulla cambierà al suo modo di amare Dio, permetterà unicamente a lui di contemplare direttamente il volto dell'Amato. Per questo il punto focale e dinamico di tutta l'esistenza del consacrato è la "vita eterna". Per il religioso Dio è il tutto della sua vita! La ricerca appassionata del suo cuore. L'amore di Dio, infatti, lo completa anche come creatura. Dio solo risponde all'aspirazione ardente dei suo cuore di donarsi totalmente ad una persona che lo completi e lo tolga dalla solitudine esistenziale in cui Dio l'ha creato ( cf. Gen. 2,15-24).
Dio é la risposta adeguata alla sua sessualità. Egli diventa lo sposo che completa, fin da questo mondo, il desiderio di completamento del consacrato. L'attesa del "cielo" è presente anche nel cuore di ogni battezzato, perchè l'essere uno col Cristo "come la vite ed i tralci,'(Gv. 15), sospinge verso la pienezza di tale unione, che potrà essere raggiunta solo nel cielo. L'amore degli sposi cristiani ricorda e spinge verso questa meta di piena comunione con Cristo, perchè esso rappresenta su questa terra l'unione di Cristo con la Chiesa ( Ef. 5,21).
Ricorda quindi ad ogni uomo, come la meta ultima e finale di questo cammino terreno sia Cristo vivente nella gloria del "cielo", dove non ci sarà più nè moglie, nè marito, ma tutti ameremo Cristo, con amore diretto e con cuore indiviso (cf. mc. 12,25), cioè con un amore verginale. Il Paradiso significa per tutti uno stato di vita in cui siamo uniti pienamente a Cristo e con lui condividiamo il gaudio del potere godere e contemplare per sempre il volto di Dio. Uniti a Lui come figli nel Figlio vedremo il Padre che solo il Figlio vede e contempla in tutto il suo splendore. Noi potremo contemplarlo secondo il grado d'amore che abbiamo raggiunto su questa terra.
Camminando con Cristo in questo mondo noi possiamo partecipare della sua pienezza d'amore, in quanto Egli è il nostro capo (cf. col.1,18-20) che si fa nostro servo (cf. Lc.12,37), nostro amico di viaggio (Gv. 15,14) perchè con Lui ed in Lui un giorno possiamo godere Dio "Faccia a faccia". Il nostro maturare in Cristo, qui sulla terra, ci prepara per il cielo. Cristo infatti è l'uomo perfetto ed il Figlio del Dio vivente. L'unione con Lui ci conduce alla nostra piena realizzazione, cioè porta a maturazione i doni che Dio ci ha elargito attraverso il suo amore creatore e redentore. Cioè i doni che abbiamo ricevuto attraverso la generazione umana, e che costituiscono la nostra vita naturale, e quelli che abbiamo ricevuto attraverso la nuova generazione operata in noi dall'acqua e dallo Spirito Santo, che costituiscono la vita soprannaturale. La realizzazione di tutti questi doni operata con Cristo ed in Cristo è la santità, condizione indispensabile per entrare nel "Regno dei Cieli", cioè in Paradiso. L'essere santi significa appunto essere uomini o donne pienamente realizzati con ed in Cristo. Questa pienezza di realizzazione ha gradi diversi, in base al nostro impegno quotidiano di vivere il Vangelo nella nostra vita. Il processo della nostra canonizzazione, cioè della nostra santificazione, finchè siamo qui sulla terra, è in continuo divenire, è sempre in atto e termina nella gioia eterna del cielo. Ciò deve riempire il nostro cuore di un desiderio ardente d'immergere ogni istante della nostra vita in Cristo, e di non perdere un istante nelle vie del peccato. Infatti ogni momento vissuto in Cristo è un aumento della gloria e della gioia eterna.
Il tempo sprecato nel peccato non solo é sottratto alla vita eterna, ma é consumato inutilmente ed immette in noi un potenziale negativo, che c'impedisce d'impegnarci pienamente nel bene. Come vedi, il paradiso non solo lo prepariamo ora sulla terra, ma attraverso il "gaudio d'amore" possiamo pregustare "un ombra" di questa gioia eterna. L'esperienza d'amore verso Dio e verso i fratelli conduce ad una affettuosa familiarità con Dio Padre e fa pregustare l'unione con Cristo. L'amore infatti ci rende sempre più uno con Cristo e, per Lui, col Padre. Anche l'Eucarestia attraverso la " concorporeità e consanguignità" realizzata con Cristo anticipa in modo imperfetto, qualche cosa del Paradiso. L'unione col Cristo ci rende partecipi più o meno intensamente dei suoi doni, del suo Sacerdozio, del suo essere Profeta, e della sua Regalità. Sacerdoti con Lui per offrire sacrifici spirituali (1 Pt.2,5), cioè l'offerta della nostra vita, in unione all'offerta del Cristo.
Profeti con Cristo per annunziare al mondo, attraverso la nostra esperienza del divino, che Dio lo ama e vuole salvare tutti gli uomini. Partecipi della regalità di Cristo, per poter raggiungere, attraverso lo Spirito Santo l'autodominio delle nostre passioni, e potere regnare con Cristo su tutto il nostro essere: anima e corpo. Questa partecipazione alle ricchezze di Cristo ci trasforma in presenza di Cristo nel Mondo. Occorre donare tutto il nostro essere a Cristo, perchè Egli possa continuare ad agire con le nostre mani, col nostro cuore, con la nostra tenerezza... Allora lo Spirito Santo riversa nei nostri cuori i suoi frutti: "Amore, pace, gioia, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sè". Questi sono l'anticipazione imperfetta, ma reale, della gioia del cielo. Cristo continua cosi in noi la sua presenza umana in mezzo agli uomini. Questa è la primaria vocazione di ogni cristiano, incorporato a Cristo attraverso lo Spirito Santo. (Gal.5,22).
Questo cammino cristiano vissuto con tutto il cuore non solo ci prepara al cielo, ma ci anticipa in modo imperfetto il gaudio della vita eterna. Cioè, l'unione totale con Dio; la fusione ed unione con Cristo; la piena comunione d'amore coi fratelli; la realizzazione della propria persona ed il possesso delle realtà create. La gioia che ogni cristiano sperimenta vivendo intensamente le realtà suddette è un ombra di quelle dei Paradiso. I doni dello Spirito Santo, concretamente vissuti, anticipano le gioie del cielo. Tale anticipazione accrescere il desiderio della pienezza di tali doni raggiunta nella gloria del Paradiso.
Per questo il cristiano che cerca d'impegnarsi profondamente nel suo cammino d'amore con Cristo, percepisce di essere pellegrino e forestiero in questo mondo e vive una grande nostalgia per la sua vera patria: Il cielo. Il discepolo di Cristo non si sente un cittadino stabile della terra, non si attacca ad essa, non può stabilirvisi ed istallarvisi comodamente, immergendosi nei valori mondani, tanto esaltati dalla cultura del consumismo, perchè il suo cuore è fatto per un amore che trascende il creato per perdersi nell'immenso ed infinito oceano della gioia di Dio. Il cammino verso questa meta a volte è duro e domanda lotta e sacrificio, "ma è tanta la gioia che ci attende che ogni pena diventa un diletto". Si deve però sottolineare che il vero desiderio, ed il cammino verso il "cielo" non estranea l'uomo dalle realtà terrestri, anzi l'impegna maggiormente in esse per trasformarle, perchè possono essere di aiuto a tutti nel cammino verso Dio.
Le realtà create infatti sono tutte buone, e per loro natura non ostacolano il cammino verso l'eterna gioia, anzi dovrebbero essere una mano amica che aiuta, ma l'uomo col suo peccato ha deturpato il mondo e le creature, per cui spesso lo sollecitano verso il male. L'azione d'amore del figlio di Dio, ridona al mondo ed alle cose la loro funzione d'aiuto per la salvezza. Il cristiano guadagna il paradiso impegnandosi nella costruzione di una città terrena più umana e più aperta al divino. Cristo ha pregato il Padre " non ti. prego di togliere dal mondo i miei discepoli, ma che non siano del mondo... perchè esso è posto nel maligno (Gv.17,15). Essi devono essere nel mondo "il sale", "la luce" che mostra il cammino verso il cielo.
L'impegno nel mondo e per il mondo non allontana i discepoli dal Signore, ma è un segno, un sintomo della loro salute spirituale. Nel cristianesimo il desiderio di vivere Dio è la molla che spinge ad agire, ma sempre in vista della patria beata. La voce dello Spirito ricorda continuamente che siamo fatti per essere con Dio. Spesso però tale grido dello Spirito viene offuscato, turbato e frenato dal peccato. Ora si può comprendere, anche se in modo imperfetto, che cosa è il paradiso: esso è lo stato di vita in cui l'uomo giusto vive in contatto diretto con Dio: sorgente della gioia, dell'amore è del gaudio.
Questa unione diretta con Lui riversa nel suo cuore in modo indicibile tutto quanto di più bello, di più gioioso ed ammirabile egli possa desiderare di vivere. Infatti al cuore dell'uomo un immensa ed indicibile gioia, che nessuna lingua umana può esprimere ( 2 Cor. 12,2-4 ). Il beato, pur conservando la sua identità é immerso totalmente nell'infinito oceano dell'amore della tenerezza divina e della gioia della Trinità. L'uomo, come é stato più volte sottolineato, può intuire qualche cosa della felicità e della vita del paradiso, unicamente attraverso l'esperienza dei divino vissuta su questa terra.
Ecco perché il cristiano deve vivere e meditare continuamente le realtà divine poste in lui dallo Spirito Santo. Esse sono l'annuncio e l'anticipo nella fede della gioia del cielo. Chi non ama Dio e vive lontano da Lui col peccato, non può stimare e capire la gioia e la felicità del Paradiso. Non possiede infatti in se nessun esperienza che possa aiutarlo a capire questa realtà ultraterrena. L'uomo legato alle cose sensibili non può capire le realtà dello Spirito di Dio, esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perchè se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito" (1 Cor. 2,14). Il mondo moderno ha perso in gran parte l'esperienza autentica di Dio, per cui ha smarrito anche la credenza nel Paradiso. Anche tanti cristiani credono al paradiso in modo cerebrale, ma non vivendo pienamente la fede, lo percepiscono praticamente come una realtà lontana ed astratta, non come la loro vera patria.
NOTE
1 Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, 49
2 Ivi, 49
3 Ivi, 50
4 ivi, 49
5 Cf.A.Rudoni, L'annuncio dei novissimi, Roma 1985; ed. Paoline, p.64-65.
6 Cf. A.Rudoni, op. cit. p.63